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Corte di Giustizia UE - International Stem Cell Corporation v. Comptroller General of Patents, Designs and Trade Marks: brevettabilità ovulo umano non fecondato
18 dicembre 2014

La Corte di Giustizia ha stabilito che l’articolo 6, paragrafo 2, lettera c), della direttiva 98/44/CE, sulla protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche, «deve essere interpretato nel senso che un ovulo umano non fecondato il quale, attraverso la partenogenesi, sia stato indotto a dividersi e a svilupparsi, non costituisce un «embrione umano», ai sensi della suddetta disposizione, qualora, alla luce delle attuali conoscenze della scienza, esso sia privo, in quanto tale, della capacità intrinseca di svilupparsi in essere umano, circostanza che spetta al giudice nazionale verificare».

Numero
C-364/13
Anno
2014

Di seguito i passaggi principali della sentenza. Il testo completo è disponibile nel box download.

La High Court of Justice, con decisione del 17 aprile 2013, aveva presentato alla Corte di Giustizia una domanda di pronuncia pregiudiziale avente ad oggetto l’interpretazione dell’art. 6, par. 2, lett. c), della direttiva sulla protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche. La domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra l’International Stem Cell Corporation (ISCO) e il Comptroller General of Patents, Designs and Trade Marks (Comptroller) in merito al diniego di registrazione di brevetti nazionali con la motivazione che le domande di registrazione, relative all’attivazione partenogenetica di ovociti, riguardano l’uso di «embrioni umani» ai sensi della direttiva 98/44.

L’ISCO aveva presentato due domande di registrazione di brevetti nazionali all’ufficio della proprietà intellettuale del Regno Unito. La prima aveva ad oggetto la «Attivazione partenogenetica di ovociti per la produzione di cellule staminali embrionali umane», relativa a metodi di produzione di linee cellulari staminali umane pluripotenti da ovociti partenogeneticamente attivati e di linee cellulari staminali prodotte secondo siffatti metodi. La seconda aveva invece ad oggetto la «Cornea sintetica ottenuta da cellule staminali retinali», ed era relativa a metodi di produzione di cornea sintetica o tessuto corneale, comportanti l’isolamento di cellule staminali pluripotenti da ovociti attivati partenogeneticamente. Entrambe le domande di registrazione sono state rigettate.

ISCO ha presentato ricorso avverso il diniego, facendo valere i principi espressi dalla Corte di Giustizia nella sentenza Brüstle, in base ai quali si escludeva la brevettabilità unicamente gli organismi idonei ad avviare il processo di sviluppo che conduce ad un essere umano. Secondo ISCO, organismi come quelli che formano oggetto delle domande di registrazione non potrebbero subire un siffatto processo di sviluppo e dovrebbero poter essere brevettati.

Comptroller sottolinea invece che la questione essenziale è stabilire cosa abbia inteso la Corte nella sentenza Brüstle per «organismo tale da dare avvio al processo di sviluppo di un essere umano come l’embrione creato mediante fecondazione di un ovulo». Esso rileva che è possibile che, nelle osservazioni scritte depositate dinanzi alla Corte in tale causa, il contesto scientifico e tecnico relativo alla partenogenesi sia stato presentato in modo inesatto.

La High Court of Justice, osservando che l’ovocita «partenote» - in base alle attuali conoscenze scientifiche – non potrebbe svilupparsi a termine in mancanza di DNA paterno, decide di sospendere il giudizio principale e di sottoporre alla Corte di Giustizia la seguente questione pregiudiziale:

«Se gli ovuli umani non fecondati, stimolati a dividersi e svilupparsi attraverso la partenogenesi, e che, a differenza degli ovuli fecondati, contengono solo cellule pluripotenti e non sono in grado di svilupparsi in esseri umani, siano compresi nell’espressione “embrioni umani”, di cui all’articolo 6, paragrafo 2, lettera c), della direttiva 98/44 (...)».

La Corte ricorda che, in base ai principi affermati nella sentenza Brüstle, «la direttiva 98/44 non è intesa a disciplinare l’uso di embrioni umani nell’ambito di ricerche scientifiche»; essa ha ad oggetto esclusivamente la brevettabilità delle invenzioni biotecnologiche. Al contempo, però, la nozione di embrione umano deve essere interpretata in modo uniforme sul territorio dell’Unione.

«La Corte ha rilevato che dal contesto e dallo scopo della direttiva 98/44 emerge che il legislatore dell’Unione ha inteso escludere qualsiasi possibilità di brevettabilità quando il rispetto dovuto alla dignità umana potrebbe esserne pregiudicato e che conseguentemente la nozione di «embrione umano», ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 2, lettera c), della suddetta direttiva, deve essere intesa in senso ampio».

«La Corte ha precisato che tale qualificazione deve essere riconosciuta anche all’ovulo umano non fecondato in cui sia stato impiantato il nucleo di una cellula umana matura e all’ovulo umano non fecondato indotto a dividersi e a svilupparsi attraverso la partenogenesi. La Corte ha aggiunto che, anche se tali organismi non sono stati oggetto, in senso proprio, di una fecondazione, gli stessi, come emerge dalle osservazioni scritte presentate dinanzi alla Corte nella causa che ha dato luogo alla suddetta sentenza Brüstle, per effetto della tecnica utilizzata per ottenerli, sono tali da dare avvio al processo di sviluppo di un essere umano come l’embrione creato mediante fecondazione di un ovulo».

Quindi un ovulo umano non fecondato deve essere qualificato come «embrione umano», ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 2, lettera c), della direttiva 98/44, nei limiti in cui siffatto organismo sia «tale da dare avvio al processo di sviluppo di un essere umano».

Secondo la Corte,  spetta al giudice del rinvio verificare se, alla luce delle conoscenze sufficientemente comprovate e convalidate dalla scienza medica internazionale (per analogia, sentenza Smits e Peerbooms, punto 94), partenoti umani, come quelli oggetto delle domande di registrazione nel procedimento principale, abbiano o meno la capacità intrinseca di svilupparsi in essere umano. Qualora il giudice del rinvio accertasse che tali partenoti sono privi di questa capacità, dovrebbe concludere che essi non costituiscono «embrioni umani», ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 2, lettera c), della direttiva 98/44.

La questione pregiudiziale è dunque risolta nel senso che «un ovulo umano non fecondato il quale, attraverso la partenogenesi, sia stato indotto a dividersi e a svilupparsi non costituisce un embrione umano», ai sensi della direttiva, «qualora, alla luce delle attuali conoscenze della scienza, esso sia privo, in quanto tale, della capacità intrinseca di svilupparsi in essere umano, circostanza che spetta al giudice nazionale verificare».

A questo link la nota a sentenza di Simone Penasa.

Lucia Busatta
Pubblicato il: Giovedì, 18 Dicembre 2014 - Ultima modifica: Lunedì, 10 Giugno 2019
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