La Corte costituzionale ha dichiarato non fondate le questioni di costituzionalità sollevate dal Consiglio di Giustizia amministrativa per la Regione Sicilia vertenti l’art. 4, co. 1, del d.l. 44/2021 (Misure urgenti per il contenimento dell’epidemia da COVID-19, in materia di vaccinazioni anti SARS-CoV-2, di giustizia e di concorsi pubblici), in relazione all’art. 32 della Costituzione, e degli artt. 1 della l. 219/2017 (Norme in materia di consenso informato e disposizioni anticipate di trattamento) e 4 del d.l. 44/2021, con riferimento agli artt. 3 e 21 della Costituzione.
Corte costituzionale – sent. 14/2023: obbligo vaccinale per i lavoratori del settore sanitario e sospensione dall’esercizio della professione in caso di inadempimento
9 febbraio 2023
Con la prima questione, vertente l’obbligo di vaccinazione contro il COVID-19 rivolto ai professionisti del settore sanitario, e la relativa sospensione dall’esercizio della professione fino all’adempimento di tale obbligo, il giudice rimettente sostiene la violazione degli artt. 3, 4, 32, 33, 34 e 97 della Costituzione. Secondo il giudice a quo, l’imposizione di tale obbligo sarebbe illegittima, sulla scorta dell’ormai consolidata giurisprudenza costituzionale, secondo la quale il legislatore può istituire un obbligo di vaccinazione solamente se il trattamento sanitario «non incida negativamente sullo stato di salute di colui che è obbligato, salvo che per quelle sole conseguenze “che appaiano normali e, pertanto, tollerabili”» (par.3). Nel caso di specie questo presupposto non sarebbe integrato: gli effetti conseguenti alla somministrazione del vaccino supererebbero la normale tollerabilità, poiché il numero di effetti indesiderati è superiore alla media rispetto ad altre vaccinazioni praticate, e visto il verificarsi di alcuni casi di eventi avversi gravi.
La Corte costituzionale giudica la questione inammissibile in relazione agli artt. 3, 4, 33, 34 e 97 della Costituzione, accogliendo l’eccezione di difetto assoluto di motivazione presentata dal Presidente del Consiglio dei Ministri, dal momento che nell’ordinanza di rimessione il giudice a quo procede a una mera esposizione dei diritti enunciati dai parametri costituzionali richiamati.
Per quanto riguarda l’art. 32, si rammenta che proprio tale articolo impone il dovere di tutelare sia l’interesse alla salute del singolo individuo sia l’interesse alla salute della collettività, che non è altro che la concretizzazione in ambito sanitario del principio di solidarietà di cui all’art. 2 della Cost. La Corte, in primis, rigetta l’argomentazione del giudice a quo, giacché le segnalazioni, sebbene di numero elevato, concernono situazioni avverse che non superano la soglia della normale tollerabilità. In secondo luogo, specifica che vista l’impossibilità di escludere totalmente il verificarsi di una qualsiasi conseguenza indesiderata, talvolta l’interesse individuale soccombe dinnanzi all’interesse collettivo. Nonostante ciò, il rischio che possano prodursi eventi avversi oltre la normale tollerabilità non rende di per sé l’obbligatorietà del vaccino incostituzionale, infatti, come già asserito in precedenti decisioni, siffatto rischio costituisce necessariamente il titolo per l’indennizzo spettante all’individuo, nel caso in cui l’effetto averso di realizzi.
Il giudice delle leggi deve quindi valutare se l’ingerenza nel diritto alla salute del singolo è in linea con i canoni di ragionevolezza e di proporzionalità rispetto al fine perseguito, specificamente tenendo in considerazione le circostanze di eccezionale gravità in cui il legislatore ha dovuto fronteggiare un’imponente emergenza sanitaria, qualificata dall’Organizzazione mondale della sanità come “pandemia”. In particolare il compito della Corte è di verificare che vi sia una “coerenza della disciplina [normativa] con il dato scientifico posto a disposizione” (8.1), ma “la scelta tra le possibili opzioni, che inevitabilmente racchiudono una intensità diversa e quindi un diverso grado di limitazione dei diritti, è esercizio di discrezionalità politica che, nei limiti della sua ragionevolezza e proporzionalità, non può essere sostituita da una diversa scelta di questa Corte” (8.2).
Considerato che gli scopi perseguiti sono, in primo luogo, la tutela delle categorie di persone maggiormente esposte al contagio, con cui i professionisti dell’ambito sanitario frequentemente entrano in contatto, e in secondo luogo la necessità di non interrompere l’erogazione del servizio sanitario pubblico, la Corte stabilisce che la scelta del legislatore può essere ritenuta ragionevole. Per di più, la disciplina adottata è proporzionata all’obiettivo perseguito, dato che al tempo dell’adozione delle disposizioni in esame non vi erano alternative preferibili per contrastare l’emergenza sanitaria. Infine, gli atti normativi in oggetto includono molteplici previsioni che impongono il monitoraggio della pandemia, consentendo quindi l’adeguamento delle misure al mutare della situazione epidemiologica. Questa natura transitoria delle norme in vigore è un fattore essenziale nel determinare la non arbitrarietà delle scelte del legislatore.
Per tutti questi motivi, la Corte costituzionale dichiara infondata la questione sollevata in riferimento all’art. 32.
Per quanto concerne la seconda questione, il giudice rimettente ritiene che l’onere di sottoscrivere il consenso informato da parte del soggetto destinatario di un trattamento sanitario obbligatorio sia incompatibile con il principio di autodeterminazione, su cui l’istituto del consenso informato si fonda, e debba quindi essere escluso nel caso di specie.
La Corte, tuttavia, ribadisce che il dettato normativo dell’art. 1 della l. n. 219/2017 impedisce l’esecuzione di un trattamento sanitario qualora non vi sia il consenso informato del soggetto interessato, e che la necessità di sottoscrizione dello stesso non può essere derogata se non per previsione legislativa. Inoltre, nel caso di specie, permane comunque in capo al singolo individuo la scelta di sottoporsi o meno alla vaccinazione, consapevole delle ripercussioni giuridiche derivanti dalla sua scelta, che nel caso specifico si sostanziano nella sospensione dell’esercizio della professione.
La Corte costituzionale dichiara quindi anche la seconda questione infondata.
Il testo completo della sentenza è disponibile nel box download.
Ulteriori sentenze relative allo stesso tema:
- Corte costituzionale sent. 171/2023
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